Dakshinkali – viaggio in Nepal

2 novembre 2013.

Mi trovavo a Kathmandu. La sera precedente ero rientrato da Bhaktapur dopo un’ultima fatica per raggiungere, sempre in bicicletta, la cittadina di montagna Dhulikel. Da lì speravo di poter vedere il profilo innevato della catena himalayana all’orizzonte. Purtroppo, com’era già successo a Nagarkot un paio di giorni prima, tutta Dhulikel era avvolta da una spessa foschia che copriva i rilievi. E così rientrai un po’ sconsolato, percorrendo la faticosa tappa Bhaktapur-Dhulikel-Bhaktapur-Kathmandu di quasi 60 chilometri, pedalando tra continui saliscendi e, nella parte finale, nell’infernale e pericoloso traffico della capitale.

Il mattino il cielo era limpidissimo e l’aria fresca. Per terra c’erano alcune pozzanghere segno che di notte probabilmente aveva piovuto. Nel vicolo di Thamel, all’uscita della guesthouse dove pernottavo, un sorridente Sanjeev mi stava già aspettando con il suo taxi per quella che sarebbe stata (ahimè…) l’ultima escursione. Avevo pianificato la visita a due luoghi che si trovano al confine sud della valle, vicini tra loro ma molto differenti, e che ritenevo assolutamente imperdibili: Dakshinkali e Pharping.

al Tempio di Dakshinkali (Nepal)

al Tempio di Dakshinkali (Nepal)

Il più lontano era Dakshinkali, un luogo santo e molto suggestivo immerso in un rigogliosissimo bosco proprio alla confluenza di due piccoli fiumi, Kharpa Khola e Sanimal Khola, che oltrepassammo a piedi percorrendo un ponte pedonale sospeso a qualche metro dall’acqua. Il tempio si trovava un po’ oltre, quasi invisibile dietro la folla di fedeli che, ordinatamente, erano in coda per accedere al cortile. Dakshinkali mi colpì molto, a tratti addirittura mi impressionò, ma non subito. Il breve tratto tra il parcheggio e il ponte sopra il fiume è incantevole: la vegetazione è lussureggiante e tutto è avvolto in un denso silenzio, rotto solo dal verso di qualche uccello, dallo scorrere dell’acqua e dal suono di campane che proveniva dal santuario. Oltrepassato il piccolo ponte le cose progressivamente cambiarono. Iniziava la lunga fila di fedeli che portavano in offerta cibo, fiori e animali vivi. L’ingresso al cortile centrale del santuario mi venne subito interdetto, non essendo induista, ma avevo la possibilità di percorrere un piccolo sentiero intorno al tempio che conduceva ad una terrazza coperta. Da lì avrei forse potuto osservare meglio i riti che si stavano svolgendo all’interno.

al Tempio di Dakshinkali (Nepal)

al Tempio di Dakshinkali (Nepal)

Quello che mi colpì fu il modo in cui l’atmosfera di pace e tranquillità assoluta che si respirava al di qua del piccolo ponte si trasformò di colpo in qualcosa di opprimente. L’aria diventò satura di un denso fumo che odorava di incensi e di brace. Osservando velocemente le acque del fiume proprio sotto di me scoprii, rimanendo perplesso, che non erano così cristalline come pareva in un primo momento, bensì rossastre. Seguii con lo sguardo il corso del fiume nel punto in cui i colori erano più scuri e solo allora mi resi conto che una piccola cascata di sangue stava cadendo dall’alto. Da uno spiazzo coperto sull’altro lato del tempio alcune persone stavano infatti lavando il pavimento dopo la macellazione di qualche animale: vidi un grande teschio bianco e le zampe di una capra.

campane al Tempio di Dakshinkali (Nepal)

campane al Tempio di Dakshinkali (Nepal)

A Dakshinkali si venera la più feroce e sanguinaria forma che può assumere Parvati: Kalì, la dea che esige sacrifici di sangue da parte dei fedeli. E i fedeli, da parte loro, offrono animali (polli, anatre, capre, maiali, bufali) che i sacerdoti del tempio, dopo averli decapitati, trasformano in tagli di carne. Una parte della carne viene trattenuta al tempio ed il resto riconsegnata. Il sangue finisce nell’acqua sottostante e le ossa vengono bruciate. Fui colpito molto da queste visioni macabre e, per me, inconsuete che stridevano in maniera evidente con il clima quasi festoso che c’era tutto intorno.

al Tempio di Dakshinkali (Nepal)

al Tempio di Dakshinkali (Nepal)

I fedeli portavano le loro offerte camminando, molti a piedi nudi, in mezzo alla terra e al sangue rappreso. Tutto era coloratissimo: le vesti delle persone e dei sandhu1, i fiori riposti nei vassoi ai piedi di questi asceti che distribuivano i tika2 spalmando sulla fronte dei pellegrini delle miscele rosso scarlatto. Lungo il sentiero intorno al tempio c’erano decine di campane che risuonavano sotto l’incessante passaggio dei fedeli. Rimasi un bel po’ ad osservare quella marea di gente dalla sommità dalla terrazza, un po’ più alta rispetto allo spiazzo da dove si accedeva al tempio vero e proprio (a me precluso). L’ingresso era di fronte a me, ma non si riuscii a vedere granchè di quello che stava accadendo dentro. Sotto di me molti devoti in ginocchio stavano pregando declamando i versetti sacri scritti su libri che tenevano aperti davanti a loro. Alle mie spalle c’era lo spiazzo coperto nel quale, come avevo già osservato passando per il ponte più a valle, venivano ripuliti i resti di animali sacrificati.

Era sabato, il giorno di maggiore affluenza al tempio della dea Kali. Da lì a poco, nel bosco circostante, molte famiglie avrebbero iniziato a banchettare con la loro parte di carne, cotta alla brace.

Per me era invece tempo di dirigermi verso Pharping in compagnia di Sanjeev.

Links utili:

Unesco World Heritage – Scheda della Valle di Kathmandu

Note:

1. sandhu: asceta hindu itinerante.

2. tika: segno rosso tracciato sulla fronte, specie in occasione di feste religiose, con una miscela che spesse volte è costituita da riso, yogurt, olio e polvere colorata.

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