Ci sono delle città, tutt’ora abitate, avvolte nella leggenda. Sono città antiche e lontane, che per secoli sono state crocevia del mondo. Città come Timbuctù, Kathmandù e, appunto, Samarcanda. Per me Samarcanda ha sempre rappresentato l’idea di Oriente. Un oriente fatto di palazzi da “mille e una notte”, di carovane di cammelli, di spezie e tesori: e con questa idea, ingenua, raggiunsi la città in un caldo giorno di settembre.
Samarcanda, a prima vista, mi diede l’impressione di una città moderna piena di monumenti antichi e straordinari. Una città con moltissimi studenti che si ritrovavano nei bei parchi della zona più nuova di epoca sovietica. Una città dove notai, più che altrove, alcuni aspetti della vita femminile. Donne e ragazze che lavorano o studiano, che conoscono un po’ l’inglese o altre lingue europee, che si vestono all’occidentale senza indossare veli nonostante la diffusione della religione islamica.
Per quanto riguarda la modernità della città è bastato poco tempo per rendermi conto che le cose stavano in modo differente. Il “biglietto da visita” che Samarcanda offre ai turisti più affrettati dei viaggi organizzati non diceva tutto. Non diceva, per esempio, che un’ampia parte della cosiddetta città vecchia, che comprende l’antico quartiere ebraico, è stata separata dalla parte monumentale da un muro. Un muro che sottrae le case povere alla vista dei turisti ricchi. Un muro “abbellito” da negozi scintillanti (ma semivuoti) che per centinaia di metri si affiancano, uno dopo l’altro, lungo il viale che dal Registan conduce alla Moschea Bibi-Khanym. Un muro che si può oltrepassare solo in un paio di punti, varcando delle piccole porte di metallo oltre le quali si ammassano, tra vicoli sterrati e rivoli di acqua sporca, modeste case dal tetto di lamiera.
A Samarcanda ho trascorso due notti. Appena arrivato, nel primo pomeriggio, mi recai ad ammirare il colossale Registan. Il giorno successivo vi ritornai per una visita approfondita, dirigendomi quindi verso la moschea di Bibi-Khanym, verso la Hazrat-Hizr per giungere infine all’incantevole viale dei mausolei di Shah-i-Zinda. Di ritorno mi fermai al caotico mercato, dove acquistai dei noccioli di albicocca cotti nella cenere che avevo già visto a Khiva e che mi avevano incuriosito. Quello fu il mio pranzo, che consumai seduto all’ombra di un albero proprio di fronte alla moschea di Bibi-Khanym. E proprio lì, poco dopo, si avvicinò un personaggio che, senza chiedere, pescò dal mio sacchetto alcuni noccioli e se ne andò subito ringraziandomi.
Arrivò il pomeriggio e volevo entrare nella città vecchia dove, tra l’altro, si potevano visitare un paio di moschee dal bel tetto di legno colorato e una sinagoga, in verità un po’ modesta. Trovai il varco nel muro, seminascosto, seguendo alcuni studenti di liceo che rientravano a casa da scuola. Subito si offrirono nel darmi indicazioni e di accompagnarmi per un tratto di strada fino alla moschea Koroboy Oksokol. Tutti parlavano un po’ di inglese. Raggiungemmo in breve la moschea e salutai gli studenti che proseguirono per le rispettive abitazioni. Mi fermai qualche minuto e mi incamminai quindi verso la sinagoga ebraica e poi fino alla moschea Makhdumi-Khorezm. Fu lì che incontrai due simpatiche bimbette che, con le poche parole di inglese che conoscevano, mi chiesero da dove venissi e se potevo far loro una foto, indicandomi l’ingresso della cancellata che conduceva al cortile.
Tornai stremato verso il mio albergo che oltrepassai per dirigermi verso la parte occidentale della città, di epoca sovietica, oltre il parco Navoi.
Cenai nello stesso ristorante dove avevo cenato la sera prima. Dopo molti chilometri di cammino fu lì che mi resi conto di quanto pochi fossero i ristoranti e i caffè a Samarcanda. La cena fu buona come il giorno precedente e pagai con 25 banconote da 1.000 Som ciascuna. Riflettei sul fatto che la banconota con taglio più elevato, appunto quella da 1.000 Som, valesse appena 30 centesimi di Euro e che la mazzetta di banconote che mi rimaneva probabilmente valesse meno di 50 Euro. Era necessario cambiare un po’ di soldi e come al solito mi sarei rivolto a qualche negoziante che, ad un tasso molto vantaggioso, mi avrebbe cambiato in nero una quarantina di dollari americani.
Rientrai in albergo dopo cena. Era stata una giornata fantastica e avevo camminato probabilmente per oltre venti chilometri. Ero stanco e il giorno dopo mi aspettava l’ultima tappa del mio viaggio. Destinazione Tashkent.
In treno…
Links utili:
Ministry of Foreign Affairs of the Republic of Uzbekistan (Tourism)
Unesco World Heritage – Scheda di Samarcanda
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