Il treno per la capitale sarebbe partito più o meno alle undici di mattina. Avevo tutto il tempo per preparare lo zaino, fare colazione e consegnare alla reception tre cartoline, tutte uguali, da spedire in Italia (ne sarebbe arrivata solo una). Cercai un taxi per la stazione dopo avere cambiato in nero dei dollari americani in un negozietto che già conoscevo, nei pressi del Mausoleo Gur-e-Amir. Arrivai alla stazione dei treni e subito mi si offrì un assaggio di quello che sarebbe poi successo in tutte le fermate della metropolitana della capitale. Prima di entrare nella hall della stazione dovetti superare un primo posto di blocco di polizia per il controllo del biglietto, del passaporto e del visto ed un secondo posto di blocco per il controllo del bagaglio, sia ai raggi X che manualmente.
La stazione dei treni di Samarcanda non è grande. Vi sono solo tre binari sui cui viaggiano convogli passeggeri e merci prevalentemente in direzione Taskhent o Bukhara. Tutta le rete ferroviaria uzbeka in realtà non è molto sviluppata. I treni, anche per le città importanti, non sono frequenti e la velocità di marcia non è elevata. I vagoni sono di epoca sovietica, abbastanza obsoleti. Tuttavia i collegamenti funzionano.
Cominciai a guardare i treni che transitavano. La maggior parte erano lentissimi treni merci che facevano un rumore infernale. Guardai verso il tabellone delle partenze per individuare il binario del mio treno. Avrei viaggiato in un mezzo di categoria Deluxe, molto differente dai treni-letto di seconda classe che arrivavano stipati di gente che mangiava dopo aver viaggiato tutta la notte proveniendo chissà da dove. Indugiai un po’ perché non trovavo alcun riferimento. Osservai alcuni poliziotti poco lontano pensando di chiedere informazioni a loro.
Evidentemente il mio fare fu sospetto, perché un poliziotto si avvicinò con passo deciso e prima ancora che potessi dire una parola mi intimò di esibire biglietto, passaporto e visto e di aprire lo zaino per controllare, nuovamente, il contenuto. Fu allora che notai la scalinata del sottopasso che conduceva al binario da cui sarebbe partito il mio treno.
Lasciai Samarcanda in orario. Lo scompartimento assomigliava a un treno italiano di seconda classe anni ’80. In ogni scompartimento potevano viaggiare solo due passeggeri, quindi lo spazio nei letto-divani era molto. Il viaggio fu noiosissimo. Dal finestrino si vedevano solo campi di cotone, terre incolte, qualche casa e qualche vecchio camion. Viaggiavo con una ragazza e la figlia di due anni che non faceva altro che mangiare patatine e bere succhi di frutta. Ogni tanto il capotreno baffuto passava ad offrire acqua calda per fare il tè. Nel resto del vagone alcune persone si erano riunite per vedere un film ad un computer portatile. Ogni tanto ci si fermava ad una stazioncina minuscola e si ripartiva. Dormii forse mezz’ora e dedicai il resto del tempo a leggere un po’ e a guardare le fotografie che avevo scattato a Samarcanda.
Dopo oltre quattro ore vidi, sul tetto di un palazzo, la scritta “Welcome to Tashkent, city of friendship…”. Finalmente ero arrivato.
Links utili:
Ministry of Foreign Affairs of the Republic of Uzbekistan (Tourism)
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