28 ottobre 2013.
Al rientro da Kopan e Gokarna volevo ritornare assolutamente a Patan. Due giorni prima, durante la lunga escursione a sud della valle, c’ero già stato ma la visita era stata troppo breve. Patan è infatti una grande città con monumenti imponenti e meravigliosi templi che meritano un’attenzione particolare. Quindi a metà mattinata attraversai per l’ennesima volta il Bagmati a sud di Kathmandu fermandomi dopo pochi chilometri di tragitto nei pressi della Durbar Square.
La piazza è gigantesca: da una terrazza panoramica posta sul tetto di un edificio all’altro lato della strada principale si possono vedere, tutti insieme, i numerosi templi ed edifici newari che la rendono forse la piazza più straordinaria di tutto il Nepal. Si capisce subito perché gli abitanti la chiamano ancora con il suo vecchio nome di Lalitpur (Città della Bellezza): Patan è stata una prospera città stato che fu annessa al regno dei Malla intorno alla fine del 1500. Da quel momento in poi vennero edificati una moltitudine di magnifici templi che le permisero di gareggiare in bellezza con le altre due città imperiali della Valle, Kathmandu e Bhaktapur.
Per non perdermi nella miriade di monumenti senza focalizzare alcunché, questa volta decisi di rivolgermi ad una guida. Conobbi così Ram Khrishna, che abitava a Patan e parlava perfettamente inglese e discretamente italiano.
Ram sapeva bene come fare a catturare l’attenzione dei visitatori, facendo osservare piccoli dettagli, i più interessanti, e fornendo brevi ma precise informazioni che sarebbero poi state utili anche in altri contesti. E così mi spiegò i vari tipi di architetture presenti a Durbar Square (e in moltissime altre città nepalesi): i templi in stile indiano, molto elaborati e con la sommità che si stringe come una specie di “pannocchia”, i templi a pagoda in stile cinese e gli edifici newari tipicamente nepalesi sulle cui facciate si trovano numerose finestre e balconi coperti, tutti di legno intarsiato.
Mi spiegò il significato degli animali vettori (i topi per Ganesh, il toro per Shiva, …) e come anche da questi si puó riconoscere a quale divinità viene dedicato un determinato tempio. Mi fece osservare meglio la colonna con la statua dorata del re Malla sulla sommità e il particolare dell’uccello, anch’esso in cima, che simboleggia l’immortalità del sovrano (che sarebbe morto solo quando l’uccello fosse volato via), la statua di Garuda, il servitore di Visnu che si può trovare davanti a molti templi, le incisioni erotiche dei templi a pagoda, la grande campana che, analogamente a quella in Kathmandu e Bhaktapur, serviva ad avvisare la popolazione di un pericolo imminente.
Sul lato nord della piazza ci sedemmo proprio di fronte al Tempio di Vishwanath per osservare le due grandi statue di elefanti poste all’ingresso e, dietro di noi, il via vai delle persone che prelevavano l’acqua da una delle vasche pubbliche lì presenti (“Ti conviene non bere… a te farebbe male” mi avvisò Ram).
Continuammo verso nord per visitare un laboratorio di mandala (i complicati disegni tibetani), una bottega artigiana dove, a mano, venivano modellate le campane a forma di ciotola che vibrano se sfregate sul bordo e i lussuosi negozi di statue sacre. Giungemmo quindi al Tempio d’Oro con le lastre scintillanti (che ricoprono il tetto e gran parte della facciate) e le sue incredibili decorazioni e statue che ornano tutto il cortile, e poi al semi nascosto Tempio dei Mille Buddha, chiamato così per il numero di piccole effigi del Buddha scolpite lungo tutta la facciata.
Camminando per Patan, Ram mi parlò anche un po’ di sé e delle sue due figlie che stavano studiando all’università (una a economia e l’altra a biologia) e così capii che la mia guida apparteneva ad una classe sociale che noi definiremmo “borghese” e che, anche se il lavoro non permetteva forti guadagni, sarebbe riuscito a dare alle due ragazze un’istruzione superiore. Ciò avrebbe concesso loro maggiori possibilità di trovare un buon lavoro, eventualmente all’estero. E d’altra parte Ram, conoscendo almeno quattro lingue e lavorando con i turisti, sapeva bene che all’estero si potevano trovare opportunità migliori che in Nepal.
Dopo tre ore il giro terminó, ma Ram mi indicò un paio di altri posti, facili da raggiungere, che non avrei dovuto assolutamente perdere. E così, dopo esserci salutati cordialmente, cominciai ad andare a zonzo per la città.
Giunsi velocemente al Tempio chiamato dei Cinque Tetti, dove erano in corso alcuni complesse cerimonie induiste, durante le quali molte donne erano impegnate a portare sulla testa, lungo un breve percorso rituale, alcuni vassoi nei quali venivano bruciati incensi e altre sostanze. Quindi mi recai ad uno dei quattro Stupa di Ashoka, quello che delimita il confine nord della città, ai piedi del quale c’era il consueto tappeto di riso steso ad essiccare. Mi fermai ancora un po’ in quella zona della periferia, silenziosa e tranquilla.
Solo poco dopo realizzai che forse era il caso di rientrare a Kathmandu perché dovevo ancora organizzare qualcosa di importante per l’indomani. Dovevo trovare una mountain bike e pianificare il tragitto per raggiungere, in solitaria, le montagne di Nagarkot a est della valle…
Link utili:
Unesco World Heritage – Scheda della Valle di Kathmandu
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