L’ultimo giorno trascorso a Luxor l’ho avrei dedicato ad una visita molto approfondita ai maggiori tesori dell’antica necropoli di Tebe, sulla riva occidentale del Nilo. Avevo un interesse particolare a rivedere gli affreschi di numerose tombe faraoniche della Valle dei Re, senza essere obbligato, per questioni di tempo, ad una visita veloce a sole tre tombe come era accaduto durante il mio primo viaggio. Tra i miei programmi vi era anche quello di raggiungere il sito della Valle delle Regine, dove avrei potuto ammirare i dipinti forse più belli della vallata, ossia quelli all’interno del sepolcro della regina Nefertari, la moglie più nota del grande faraone Ramesse II. Avrei inoltre visitato alcune tombe minori, cosiddette “dei nobili”, relativamente poco visitate, fatte edificare da membri dell’alta aristocrazia egizia. Queste tombe sono interessanti perché, pur non reggendo il confronto con le imponenti tombe faraoniche, racchiudono spesso dei suggestivi dipinti di scene della vita quotidiana dell’antico Egitto, molto diversi dai dipinti delle tombe reali, incentrati quasi esclusivamente sui riti e sulle formule per l’accesso all’aldilà del Libro dei Morti. Avrei infine rivisto l’imponente Tempio di Hatshepsut a Deir el-Bahri.
Trovai subito un veloce passaggio per la Valle delle Regine, che ospita numerose tombe di regine, principi e principesse, principalmente del periodo ramesside (XIX dinastia tra il 1295 e il 1194 a.C.) Purtroppo la Tomba della Regina Nefertari risultava chiusa fino a data da destinarsi e la mia visita si limitò alle altre tre più belle tombe della vallata: quelle di Amonherkhepshef e di Khaemwaset, entrambi figli di Ramesse III morti in giovane età, con i dipinti che raffigurano il faraone all’atto di presentare i due figli agli dei, e quella della regina Titi, che si crede sia stata una delle mogli dello stesso faraone Ramesse III.
Terminata la visita mi incamminai verso il luogo delle Tombe dei Nobili i cui accessi, in posizione elevata, sono difficilmente individuabili se ci si trova ai piedi della collina sassosa, arsa dal sole, da dove si accede al sito. Per non sprecare tempo ed energie in vane ricerche mi feci aiutare, in cambio di una piccola mancia, dai numerosi guardiani lì presenti. Tutte le tombe, chiuse per assenza di visitatori, furono aperte appositamente per me. Il fatto di essere, in quel momento, l’unico turista rese l’esperienza straordinaria. Ero immerso nel più totale silenzio. Mi colpirono soprattutto la Tombe di Benia (con le sue ricche decorazioni coloratissime raffiguranti tavole per le offerte agli dei ricolme di cibo e bevande) e le Tombe di Menna e Nakht con i loro straordinari dipinti raffiguranti scene di vita quotidiana nell’antico Egitto della dinastia tuthmoside, intorno al 1500 a.C.
Nella Valle dei Re, con un certo disappunto, la mia visita si limitò unicamente a cinque tombe di faraoni, prevalentemente della XX dinastia, in quel periodo le uniche aperte ai visitatori. Anche in questo sito sterminato, tra i più famosi di tutto l’Egitto, i turisti erano molto pochi. In più di una occasione, all’interno dei sepolcri, mi trovai unicamente in compagnia del guardiano di turno. Ripensai, ancora una volta, al fatto che queste persone, spesso anziane, trascorrono la propria esistenza al buio e all’aria malsana di questi luoghi di sepoltura per uno stipendio di poche lire, insufficiente anche solo per poter mangiare tutti i giorni. Lasciai sempre delle piccole mance, unica possibilità per i custodi di arrotondare il magro salario. Un guardiano ringraziandomi mi offrì di sedere accanto a lui, nella penombra, per dividere il suo pasto giornaliero: un pezzo di pane, appoggiato per terra, strofinato sull’unto di una pentola non lavata che teneva in uno sporchissimo sacco di plastica nero. Ringraziai ma non ebbi il coraggio di assaggiare alcunché. Offrii qualche biscotto secco e consumai il resto del mio pranzo, da solo, all’esterno.
A metà pomeriggio avevo finito la mia visita nella Valle dei Re e dovevo raggiungere il Tempio di Hatshepsut a Deir-el-Bahri. Valutai per un attimo la possibilità di arrivarci valicando la bassa collina di circa 300 metri che, dal lato sud della Valle dei Re, conduce al Tempio attraverso un tortuoso sentiero sassoso. Scartai l’ipotesi considerando la calura, la stanchezza che cominciava a farsi sentire e riflettendo sul fatto che essere l’unica persona a percorrere un sentiero privo di indicazioni non sarebbe stata una buona idea. Seguii pertanto la strada asfaltata per circa tre chilometri, non senza qualche difficoltà per mandare via con un perentorio “shukran la” (“no grazie!”) i numerosi venditori di souvenir.
Nel tardo pomeriggio raggiunsi Deir-el-Bahri e, come mi accadde durante il mio primo viaggio, restai colpito dalla bellezza di questo monumento straordinario che si fonde con la parete di roccia calcarea che svetta sullo sfondo in cui è, in parte, scavato. E’ questo il tempio del faraone di sesso femminile più famoso della storia dell’Egitto, Hatshepsut, che regnò tra il 1473 e il 1458 a.C. Mi incamminai verso le imponenti scalinate e le tre terrazze fino a raggiungere i colonnati antistanti il santuario consacrato al dio Amon, in fondo al tempio. Il sole cominciava ad abbassarsi e i colori cominciavano a farsi caldi. Restai un bel po’ a contemplare il monumento e il paesaggio. Alla fine mi procurai un passaggio per il mio hotel, dove avrei trascorso un’ultima notte.
Il mattino dopo salutai Ajij e Muhammed, a cui regalai alcuni pacchetti di sigarette della sua marca preferita. Il taxista Ahmed mi stava aspettando per portarmi all’aeroporto. Destinazione il Cairo.
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