Sono atterrato con mia moglie Martina all’aeroporto di Amman in una mattina di settembre nel 2009. Impiegammo quasi due ore per ottenere il visto e per prendere a noleggio un’autovettura. Il nostro programma prevedeva un breve soggiorno nei dintorni della caotica capitale Amman, dalla quale saremmo poi ripartiti alla volta di Petra e del deserto del Wadi Rum, dove intendevamo trascorrere una notte presso un campo tendato.
Usciti dall’aeroporto ci dirigemmo verso sud, seguendo una strada secondaria parallela alla trafficata Strada dei Re, una delle tre principali arterie stradali che collegano il nord con il sud del paese. Attraversammo villaggi polverosi ai piedi della basse montagne sassose che separano, senza alcuna interruzione, l’entroterra abitato dalla depressione del Mar Morto e dall’adiacente Stato di Israele. Dovevamo raggiungere Madaba, la piccola cittadina che dista poco più di trenta chilometri da Amman.
Arrivammo senza particolari problemi nell’alberghetto prenotato per tre notti e subito dedicammo un po’ di tempo alla visita del centro storico, con le chiese di San Giorgio e degli Apostoli (ricchissime di preziosi mosaici) e le moschee. Notai subito la particolarità di questo luogo che, almeno nel periodo della nostra visita, rappresentava un esempio molto raro di tolleranza religiosa in un paese musulmano: ci sono chiese dove la domenica si svolgono le funzioni religiose a pochi passi dai minareti delle moschee, dalle quali i muezzin diffondono i richiami giornalieri alla preghiera. In effetti, per molti cristiani, la Giordania rappresenta una meta di pellegrinaggio davvero importante per la presenza di numerosi luoghi biblici, quali Betania al di là del Giordano e il Monte Nebo.
Terminata la breve visita alla città, ripartimmo in automobile alla volta del Monte Nebo da cui, secondo la tradizione cristiana, Mosè contemplò la Terra Promessa prima di “riunirsi ai suoi antenati”. La vetta si trova a pochi chilometri da Madaba, in un’area montagnosa da cui si possono ammirare splendidi panorami dell’antica Giudea. Il luogo era immerso nel silenzio. Incontrammo solo qualche pellegrino cristiano che stava assistendo ad una messa nella piccola cappella adiacente alla basilica risalente, in alcune sue parti, al IV secolo d.C. Ci soffermammo per un po’ ad ammirare la vista della vallata da uno spiazzo soleggiato su cui soffiava una leggera brezza di aria calda. Il sole, ancora splendente, cominciava tuttavia ad abbassarsi un po’ sulla linea delle cime ad ovest, oltre le quali c’è la depressione del Mar Morto. Su quel versante il cielo era coperto da una lieve foschia di umidità che proveniva dallo specchio d’acqua più salato al mondo. Visitammo quindi il Memoriale di Mosè e il cortile, nei pressi del quale c’è una moderna e gigantesca croce in bronzo.
La sera, rientrati a Madaba, scoprimmo la bontà della cucina locale con una cena a base di hummus (una squisita purè di ceci con crema di semi di sesamo, olio, aglio e limone), kebab e pane arabo non lievitato, servita nel cortile di un bel ristorante nella parte storica della città.
La mattina successiva iniziammo la visita della ragione a nord della capitale, percorrendo la Strada dei Re fino alla trafficatissima tangenziale di Amman (dove l’unica regola è che la precedenza ce l’ha chi se la prende) per giungere quindi alle incantevoli rovine della città romana di Jerash (Gerasa), una delle più importanti attrattive di tutta la Giordania. Fummo accolti dall’imponente Arco di Trionfo di Adriano, aldilà del quale ci sono l’antico ippodromo (ove ancor oggi vengono allestiti degli spettacoli di corse con la biga a beneficio dei turisti), due teatri ben conservati e, soprattutto, la superba Piazza Ovale.
Verso mezzogiorno il caldo cominciò a farsi opprimente. Decidemmo quindi di rientrare a Madaba, per rilassarci qualche ora nella modesta piscina dell’hotel e rinviare al tardo pomeriggio la visita della cittadella di Amman. Per evitare di guidare nuovamente nel traffico caotico della tangenziale della capitale, cercammo un autista che ci conducesse fino alla cittadella Jebel al-Qala’a. Raggiungemmo la bella collinetta, dove c’è l’ingresso del sito, ammirando l’insolito panorama di minareti e numerosissime abitazioni di colore chiaro intorno al teatro romano, su cui svetta, da un pennone di oltre 120 metri (pare uno dei più alti del mondo), l’imponente bandiera del regno. Nell’aria riecheggiavano i richiami alla preghiera dei muezzin. Riflettei sul fatto che ci trovavamo in pieno periodo di ramadan, che le persone potevano essere meno amichevoli per il fatto di avere, specie verso il tramonto, fame o sete e che sarebbe stato quindi opportuno usare modi ancora più concilianti del solito.
Il rientro in albergo fu tormentato. Per ritornare a Madaba ci accordammo con un taxista, all’apparenza tranquillo, fissando un prezzo esattamente uguale a quello che avevamo pagato per l’andata. Purtroppo intervenne in maniera molto brusca un altro taxista che prima accusò il collega di rubargli i clienti (pare avesse un non meglio precisato diritto di precedenza sui turisti in quanto stava aspettando alla cittadella da più tempo) e poi ci disse che il prezzo per un passaggio fino a Madaba sarebbe stato di circa il doppio rispetto a quello che avevamo pagato per l’andata. Si rivolse quindi con un tono violento agli altri taxisti, dicendo chissà cosa, e il risultato fu che tutti si allontanarono da noi. Le cose stavano così: o salivamo sul suo taxi oppure avremmo dovuto scendere a piedi lungo la collinetta fino al centro della città, camminando per qualche chilometro, e lì cercare un altro passaggio dopo un’ulteriore estenuante contrattazione. Tenuto conto che la differenza di prezzo era equivalente a circa 10 euro, sebbene a malincuore perché la persona non ci piaceva affatto, salimmo sull’auto. Il viaggio non fu piacevole. Il guidatore cominciò ad imprecare perché il prezzo che ci aveva fatto era troppo basso e, urlando, ci fece capire che nonostante il caldo non voleva che tenessimo aperti i finestrini. Alla fine, complice un fraintendimento sulla parola inglese angry (“arrabbiato”) con hungry (“affamato”), la situazione si fece incandescente: il taxista si infuriò perché si convinse che lo stavo prendendo in giro per l’usanza dei musulmani di digiunare durante il ramadan.
Arrivammo finalmente a Madaba e lì, cosa che non mi capita sovente durante i miei viaggi, feci un errore grossolano. Pagai con una banconota da 50 dinari (oltre 50 euro) per avere il resto di 32 dinari. Purtroppo, senza riflettere, consegnai i soldi dopo essere uscito dall’autovettura. Il losco taxista, senza pensarci due volte e, anzi, quasi schiacciandomi i piedi, partì sgommando senza darmi il resto. Guardando la nuvola di polvere che si allontanava pensai che non ero stato molto sveglio, anzi. Pensai anche che quella persona era un vero e proprio ladro e forse sarebbe potuta andare peggio…
La sera cenammo benissimo, nel solito locale, con pane, hummus e kebab. Dopo la cena e una bella fumata alla shisha, avevo già dimenticato l’accaduto.
Links utili:
Ministero del Turismo di Giordania (Jordan Tourism Board)
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