Dormii molto bene. La mia camera era spaziosa, il letto comodo e il climatizzatore funzionava a dovere. Inoltre mi avvisarono che il mio bagaglio era stato ritrovato e si trovava già nella hall dell’albergo. Era stato il proprietario dell’hotel, Mustafà, a chiamare insistentemente l’aeroporto e a mandare qualcuno a ritirarlo.
Dopo una abbondante colazione uscii dall’albergo e mi diressi al molo del traghetto per Luxor.
C’era già una moltitudine di persone che attendeva di imbarcarsi: uomini in camicia e cravatta che stavano andando a lavorare, donne e ragazze completamente coperte da veli neri, bambini di tutte le età, vecchi con la barba lunga e bianca che indossavano turbanti e galabyya. Qualcuno portava a mano la sua bicicletta, qualcun altro trasportava del pollame vivo dentro stie di metallo. Mentre aspettavo ammirai la maestosità del Nilo pensando ai millenni di storia che si erano succeduti appresso le sue rive. L’acqua blu scuro scorreva verso il suo delta, un migliaio di chilometri più a nord. Notai che, per un gioco di correnti contrastanti, l’acqua in alcuni punti era completamente ferma. E’ in queste zone di acqua stagnante che la balneazione è molto più rischiosa che altrove. E’ noto che tutto il Nilo è infestato di parassiti portati da lumache d’acqua dolce che penetrando attraverso la bocca, il naso o la pelle al solo contatto con l’acqua, procurano una grave malattia (la bilharzosi) che può danneggiare gli organi interni. Dove l’acqua scorre poco il pericolo che i parassiti si concentrino è altissimo. Mentre pensavo a questo fatto vidi che poco più in là, in una zona dove l’acqua oggettivamente era più mossa, alcuni bambini divertiti facevano dei tuffi…
Arrivò il traghetto e dopo aver pagato il biglietto, 90 piastre equivalenti a circa 15 centesimi di Euro, mi sedetti su una delle numerose panche di legno sul ponte superiore dell’imbarcazione. Ero l’unico occidentale a bordo e notai anche che nessuno si era seduto vicino a me, nonostante il ferry boat fosse pieno di gente che viaggiava in piedi e che la panca dove mi ero seduto io era l’unica con i posti ancora liberi. In pochi minuti raggiunsi la sponda orientale e da lontano intravidi il Tempio di Luxor.
Quando entrai nel sito archeologico erano circa le nove di mattina e cominciava già a fare caldo. Ed eccomi qua, pensai, dopo dieci anni ritrovo le due imponenti statue di Ramesse II proprio all’ingresso del primo pilone che conduce al grande cortile. Dal lato opposto c’era lo spettacolare viale delle sfingi che ripercorsi ammirato fino al suo termine, nei pressi della recinzione a nord del sito, dove c’era un fossato pieno di spazzatura e bottiglie di plastica. Come avvenne in occasione del mio primo viaggio, pensai che l’Egitto era un paese sporco, in alcuni punti un vero e proprio immondezzaio. Durante il viaggio del 2002 la nostra guida Fawzi, quando a Giza gli feci notare che i canali laterali del Nilo a pochi metri dalle case straripavano letteralmente di spazzatura, mi disse che l’Egitto sarebbe diventato un bel paese solo quando gli abitanti avessero capito che la loro abitazione non finiva sull’uscio ma piuttosto cento metri oltre.
Ritornai sui miei passi per attraversare il primo pilone e cominciare la passeggiata di circa 250 metri che conduce dal grande cortile di Ramesse II, al colonnato e al cortile di Amenhotep III, fino al santuario. Ammirai le imponenti colonne papiriformi, gli obelischi di granito rosa, i geroglifici e le scene scolpite sui piloni. Con una certa soddisfazione riuscii a individuare agevolmente, sopra un cartiglio, uno dei pochi geroglifici che ero in grado di leggere: Sa-Ra, figlio di Ra, un’anatra (Sa, figlio) con un sole (Ra). Era una parte del nome dei faraoni Ramesse II o Amenhotep III, i più importanti costruttori del tempio.
Terminata la visita mi incamminai alla volta di Karnak, a circa 4 chilometri a nord di Luxor, percorrendo l’alberata Corniche an-Nile lungo il fiume. Purtroppo, dopo poche centinaia di metri, la piacevole camminata si trasformò in un faticoso percorso in mezzo alla polvere e all’imponente cantiere edile che stava interessando una vasta parte della riviera. Ci volle così oltre un’ora per raggiungere Karnak.
Arrivai in tarda mattinata, sotto un caldo opprimente. Nello spiazzo all’ingresso c’erano numerosi autobus di turisti (pochi erano stati i turisti che avevo incontrato nel tempio di Luxor), calessi e una moltitudine di venditori di cianfrusaglie che assalivano i visitatori. In mezzo a quel caos vi erano anche numerosi bambini (alcuni di 10-12 anni) che sfrecciavano con piccole motociclette in mezzo alla gente, sotto lo sguardo poco attento dei padri.
Appena entrato al complesso del Tempio di Amon a Karnak, mi ricordai subito di quanto fosse maestoso. L’area vagamente quadrata, con i lati di oltre 500 metri, straripa letteralmente di colonnati, obelischi, statue, tempietti e ben dieci piloni, imponenti. Vidi subito il viale di sfingi con testa di ariete appena prima del primo pilone da cui si accede all’intera area.
La visita durò circa due ore. Era quasi l’una del pomeriggio e faceva molto caldo. Decisi di prendere un calessino che in dieci minuti mi avrebbe riportato al traghetto per Al-Gezira. Dopo circa mezz’ora ero nel giardino del mio hotel a parlare con Muhammed e Ajij. Mi sarei riposato un’oretta all’ombra degli alberi e sarei poi uscito nuovamente per visitare un paio di templi della zona.
Uscii nuovamente verso le tre del pomeriggio diretto ad ovest, oltre il villaggio di Nuova Gurna, verso Medinet Habu. Ed ecco che, d’un tratto, rividi due “vecchie conoscenze”. I colossi di Memnone, le due imponenti statue assise alte 18 metri, prive di volto, che dominano la pianura. Pensai quanto fosse incredibile che quelle due imponenti statue erano probabilmente l’elemento più piccolo del tempio più grande mai costruito in Egitto, il Tempio di Amenhotep III, di cui non rimane niente altro. Proseguii alla volta di Medinet Habu, per visitare il magnifico Tempio funerario di Ramesse III. Ammirai i suoi colonnati, i due piloni con i rilevi delle scene di guerra del faraone contro i libici. Mi diressi quindi al Ramesseo, il tempio funerario di Ramesse II, oggi un po’ in rovina, e quindi al Tempio di Sethi I, a ridosso di un bel palmeto.
Rientrai in albergo poco prima del tramonto. Mi fermai come al solito a parlare un po’ con Muhammed e Ajij. Notai che la conversazione diventava sempre più interessante. Mi chiedevano come fosse vivere in Italia, come fossero le città e le case, come fossero le ragazze. Muhammed ad un certo punto cominciò a raccontarmi della sua situazione familiare. Viveva ancora con i genitori e i fratelli ed aveva una fidanzata che però, in base alle usanze molto rigide dei piccoli villaggi di campagna, non poteva frequentare se non sotto la strettissima supervisione dei genitori o dei fratelli maggiori di lei. Si rise e si fumò ancora per un po’ fino a che, verso le otto di sera, rientrai in camera per mangiare qualche crackers e poi mettermi subito a dormire. Il giorno dopo mi sarei dovuto svegliare all’alba perché il mio programma prevedeva un’escursione molto lunga ad Abydos e Dendera. Ahmed sarebbe passato a prendermi con il suo taxi alle otto del mattino.
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