Amarapura è un piccolo sobborgo non distante da Mandalay, a poco più di una decina di chilometri, raggiungibile percorrendo strade abbastanza scorrevoli. In effetti è quasi un quartiere periferico della grande città, ma si trova in una zona tranquilla e immersa nella vegetazione. E’ una cittadina che si affaccia sulle sponde del lago Taungthaman, che verso nord disegna un semicerchio quasi perfetto, con un profilo che si assottiglia decisamente verso il centro, dove le coste dei due versanti si avvicinano molto, quasi a congiungersi. Un lago poco profondo, che d’estate appare tranquillo e placido ma che durante la stagione delle piogge aumenta di vari metri il proprio livello. Verso il centro meraviglioso ponte in legno di teak, lungo oltre un chilometro, unisce le due sponde più vicine. Alle estremità del ponte, poco distante dalla riva del lago, vi sono il Monastero Haha Ganayon e la pagoda Kyauktawgyi. Sono partito da Mandalay nel primo pomeriggio. A mio avviso l’U Bein Bridge offre tutto il suo splendore un paio d’ore prima di sera, quando le luci calde del sole calante si riflettono sullo specchio d’acqua che appare quasi immobile. Si può raggiungere il luogo con una breve escursione in taxi oppure, fidandosi, chiedendo un passaggio a qualche motocicletta. La strada costeggia per ampi tratti il lago e non c’è molto traffico. Ho concordato con Kyaw, il ragazzo con il motociclo conosciuto a Mandalay, un passaggio fino ad Amarapura a conclusione della giornata dedicata alla scoperta della più famosa città.
La zona antistante al ponte pullula di gente: venditori ambulanti, tassisti in cerca di clienti, bancarelle. Ci sono un paio di locali con terrazze proprio in prossimità dell’acqua. Sono senza kyat (ho solo una banconota da 10 dollari che mi serve per pagare il mio trasporto, e qualche banconota da un dollaro un po’ consumata) ma avrei proprio voglia di bere una bibita gelata prima di incamminarmi sull’U Bein Bridge. Niente da fare (lo sapevo!): come già successo a Yangon e a Mandalay nessuno accetta le mie banconote americane perché non sono perfettamente stirate e hanno qualche segno di usura. Sulle sponde del lago si notano decine di imbarcazioni colorate tirate in secca. L’U Bein Bridge sembra altissimo. Questo avviene perché siamo nella stagione secca (fine novembre) e il livello dell’acqua è molto basso. Dopo la stagione delle piogge le cose cambieranno e l’acqua arriverà a lambire la passatoia in legno coprendo quasi interamente i piloni. C’è un discreto via vai di gente ma tutto sommato il luogo è tranquillo. Di tanto in tanto si incontra qualche giovane monaco (alcuni sono dei bambini) con la tradizionale tunica rossa. Qualcuno si avvicina per scambiare qualche parola in inglese. Verso nord solitarie barche a remi procedono lentamente verso il centro del lago, dove compaiono anche piccoli e temporanei isolotti che scompariranno appena le acque cresceranno di qualche centimetro. Sotto il ponte sono emerse delle lingue di terra più estese, e i contadini le arano lavorando in mezzo agli aironi e alle anatre. Poco distante alcuni pescatori, immersi fino al collo, tirano le reti. Il riflesso del sole sull’acqua è accecante.
L’U Bein Bridge è lungo e verso il centro curva girando un po’ verso nord. Ogni 2-300 metri ci sono degli slarghi coperti con alcune panche per riposare all’ombra. Qui ci sono venditori di cartoline o di altri souvenir e dei tizi con alcune gabbie dove sono vergognosamente stipati dei piccoli uccelli rapaci (sembrano pulcini di barbagianni o di allocco) dagli occhi dolcissimi, che vengono venduti a un dollaro. A sud ovest quasi non si riescono a distinguere le sagome di imponenti e scheletrici tronchi d’albero che sbucano dal pelo dell’acqua tanto è forte il riflesso del sole calante sulla superficie del lago. Arrivo alla fine e mi soffermo un po’ all’ombra della piccola foresta attorno alla Pagoda Kyauktawgyi. Noto che ci sono pochissimi turisti e la maggior parte delle persone sono birmani che vengono a pregare. Ritorno quindi sui miei passi fino a circa metà dell’U Bein Bridge. Da qui partono due scalinate che conducono ad uno dei piccoli isolotti sbucati dall’acqua. Scendo per passeggiare sull’erba fangosa. E’ un bellissimo luogo per osservare il ponte dal basso, con il sole che ormai è nascosto dai tralicci che tengono in piedi la passerella. Sull’isolotto alcuni aironi sembrano osservare, anche loro, il tramonto.
Raggiunta la sponda ovest dell’U Bein Bridge non riesco a ricordarmi il luogo dove mi sta aspettando Kyaw con il suo motorino. Strano! (penso) era un parcheggio cinto da alte mura con un albero in mezzo proprio come quello in cui sono capitato, ma qui non si vede nessuno. Mi metto in cammino ripercorrendo la strada verso Mandalay. Solo dopo mezzo chilometro circa mi ricordo: il parcheggio era un altro ma all’andata, rapito dalla bellezza del luogo, non mi ero reso conto di aver camminato così a lungo. Kyaw è sorridente. Rientriamo a Mandalay quasi al buio, percorrendo la strada illuminata solo dalle flebili luci del fanale del ciclomotore.
LInks utili:
Myanmar Tourism Ministry – Mandalay and golden sights near
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