Yangon (Myanmar – Birmania)

Yangon, 21 novembre 2015

Non avrei mai pensato che l’ingresso in Myanmar, il paese che una volta chiamavamo Birmania e che in un passato recentissimo era chiuso al mondo, potesse essere così agevole. In effetti il ritiro dei bagagli e tutte le formalità doganali per controllo del visto si svolsero molto velocemente, senza il minimo contrattempo. E così alle cinque del mattino, con il sole che già rischiarava un po’ il cielo, ero alla ricerca di un taxi per raggiungere il centro di Yangon. Fu sul piazzale antistante all’aeroporto che conobbi Mr Wonnyang, un signore dall’aria gioviale e tranquilla che, in un inglese molto stentato, mi chiese in quale parte di Yangon fossi diretto.

Botataung Pagoda, interno (Yangon, Myanmar)

Botataung Pagoda, interno (Yangon, Myanmar)

Contrattai molto velocemente un tariffa forse un po’ alta: ma ero completamente sfinito dalla notte in volo, dal fuso orario e da un malessere che non riuscivo ancora a definire. Tutto quello che desideravo in quel momento era dormire almeno un paio d’ore in una stanza silenziosa. L’area vicino all’aeroporto non era molto trafficata. Ma le auto talvolta procedevano lentamente a causa della condizione delle strade, in alcuni punti strette e piene di buche. Di tanto in tanto si vedevano degli operai (uomini e donne) riparati solo da un copricapo e da un panno annodato davanti alla bocca, che trasportavano pesanti secchi di catrame fumante che poi stendevano con i badili lungo i lati delle strade. abitava anche di passare accanto a dei furgoncini fermi, dai quali proveniva musica ad alto volume. Nei pressi molti adulti e bambini battevano rumorosamente dei tamburi ballando quasi in mezzo alla strada, costringendo le macchine a rallentare. Erano i volontari che raccoglievano le offerte per una delle infinte pagode o templi della regione. La periferia di Yangon era sostanzialmente sporca e caotica. La vecchia Rangoon, antica città coloniale, sicuramente avevo visto tempi di gran lunga migliori rispetto agli ultimi decenni di miseria sotto la giunta militare. Nell’aria però si respirava un clima di festa e di speranza, esploso qualche settimana prima con lo svolgimento delle elezioni. Anche il mio tassista sfoggiava, in bella mostra sul cruscotto, una foto di Aung San Suu Kyi con il simbolo della Lega Nazionale per la Democrazia, il partito vincitore delle prime elezioni libere (o quasi) dopo decenni di dittatura.

Botataung Pagoda, particolare (Yangon, Myanmar)

Botataung Pagoda, particolare (Yangon, Myanmar)

Mr Wonnyang fu il primo di una serie di molte persone birmane che mi parlarono con toni di entusiasmo e speranza per il nuovo clima politico, per le aperture del paese verso il turismo e per le libertà che negli ultimi anni il popolo del Myanmar si era conquistato. Ripensai al fatto che il mio visto mi era stato concesso in soli due giorni mediante una procedura telematica assolutamente rapida ed economica, che avevo spedito decine di email in tutti gli alberghi dove avevo prenotato e che avevo sempre ricevuto risposta, che internet e gli smartphone erano arrivati anche qui. Raggiunsi l’albergo chiedendo a Wonnyang di tornare a riprendermi dopo cinque ore: dovevo dormire ma non volevo sottrarre tempo prezioso per la visita della città. Mi diressi velocemente alla reception del piccolo albergo, ma non c’era nessuno. Solo dopo un po’ vidi nella penombra un ragazzo non tanto alto che dormiva tutto rannicchiato su una panca di legno nel salottino della hall. Anche lui, come moltissimi uomini, portava il longyi, il tessuto quadrato che viene stretto intorno alla vita e che viene indossato al posto dei pantaloni. Fortunatamente il ragazzo si svegliò quasi subito e mi informò che la mia camera era già pronta: chiesi se fosse possibile avere qualcosa da mangiare e una bottiglietta d’acqua. Impossibile: erano solo le sei e la colazione era fissata per le sette. Inoltre, mi disse, l’acqua non era in vendita ma, in via del tutto eccezionale, poteva regalarmi due bottigliette piccole.

al Parco Karaweik (Yangon, Myanmar)

al Parco Karaweik (Yangon, Myanmar)

Non capii assolutamente nulla del senso di quella frase. La stanza si trovava all’ultimo piano del palazzo, al termine di una stretta e ripida scala dagli altissimi gradini. Tutto sommato una sistemazione modesta anche se a prima vista pulita e confortevole. Mi distesi sul letto, stremato. Avevo solo  tre/quattro ore per riposarmi un po’: Wonnyang come da intese sarebbe venuto a prendermi verso le 11.00, e prima dovevo anche lavarmi e trovare un posto per cambiare qualche dollaro. Intanto un senso di inquietudine cominciò a farsi strada e i miei pensieri per un attimo divennero cupi. Mi addormentai quasi subito e fui svegliato solo dall’allarme del mio orologio. Mi sembrava di aver dormito per soli cinque minuti invece erano passate quattro ore. Ero steso sul letto a pancia in sù, nella stesa posizione nella quale mi ero coricato. Ero sudato e con il battito cardiaco accelerato. Avevo la febbre? Decisi di farmi una doccia fresca per svegliarmi ed entrai in bagno. Decisamente fatiscente, con una doccia senza tendina. Sul lato del muro che si affacciava sul cortile interno c’era un grande buco all’altezza del pavimento. Non mi ci volle molto per capire che era lo scarico per l’acqua della doccia e che senza quel buco il bagno si sarebbe letteralmente allagato.

Chauk Htat Kyi Buddha (Yangon, Myanmar)

Chauk Htat Kyi Buddha (Yangon, Myanmar)

Sotto l’acqua fresca mi sembrò subito di stare meglio, ma già pensavo al dover trovare un cambia valute e un rivenditore di sim telefoniche. Il quartiere fuori dall’albergo era alquanto sporco, con marciapiedi dissestati e con pochi negozi. Passai davanti ad un paio di banche che erano chiuse, pensai di usare il bancomat ma poi decisi di lasciar perdere per timore che il tesserino potesse essere risucchiato dalla macchina (perché pensavo così in negativo??). Finalmente trovai un cambia valute aperto. Consegnai una banconota da cento dollari ma la graziosa impiegata, ridendo, mi fece capire che non andava bene. “Forse il taglio è troppo grande”, pensai. Diedi allora qualche banconota da venti dollari, ma ancora una volta l’impiegata, questa volta un po’ a disagio, si rifiutò nuovamente di accettare il danaro. “Ma dove sono capitato?”. Finalmente capii: le banconote, per una di quelle regole assurde che però erano ancora in vigore, dovevano essere nuove, stirate, senza angoli piegati, senza macchie, praticamente immacolate. Bastava una pieghetta su un lato, la semplice piega del portafoglio che segnava un po’ il centro delle banconote, una macchietta di inchiostro o una leggera abrasione per rendere quei soldi praticamente carta straccia.

Shwedagon Paya (Yangon, Myanmar)

Shwedagon Paya (Yangon, Myanmar)

Cominciai allora a controllare i miei dollari: su una mazzetta di circa duecento pezzi di vari tagli accettarono a malincuore solo una decina di fogli per un valore di circa 40 dollari. Il mio senso di inquietudine cominciò ad aumentare (ma perché?? avevo carte di credito, bancomat, e alcune banconote, ci avrei scommesso, sarebbero sicuramente state accettate da tassisti e albergatori che dovevano pur lavorare…). Il giro per Yangon con Mr Wonnyang fu molto bello anche se, notai, il tassista aveva un po’ la tendenza a cacciarsi in situazioni scomode senza motivo: prima imboccò una strada, per la verità pochissimo trafficata, in contromano guadagnandosi le ire degli altri automobilisti e poi, forse distratto da qualcosa, non diede la precedenza ad un incrocio, col risultato che dovette pagare una multa dopo aver discusso per un bel po’ con il militare che lo aveva fermato. Guidare a Yangon, ma anche nel resto del Myanmar, non è per  niente facile. Auto lente, grandi camion, strade dissestate, persone in mezzo alla careggiata, animali, caos. E il fatto che tutte le auto hanno il volante a destra ma circolano a sinistra: sorpassare è difficile e pericoloso. Raggiungemmo per prima cosa la bella Botataung Pagoda, dall’ampio cortile, con un bello stupa scintillante abbastanza alto, le camere attigue tutte dorate, le campane percosse con tronchetti di legno da bambini festanti che avevano il viso colorato con polvere verde, il piccolo porticato in legno che correva sopra una piccola vasca e conduceva ad una stanza coperta piena di statue di Buddha. Il sole era caldissimo. Avevo scelto uno dei periodo migliori per visitare il Myanmar. In tutti i templi, ma anche nei cortili esterni, si doveva entrare scalzi ma, diversamente da altri paesi che avevo visitato, occorreva togliersi anche le calze. Camminare su quelle pietre un po’ sporche, dove i colombi spesso facevano i loro comodi, non era una sensazione piacevole, ma mi abituai presto. C’erano tantissime persone di tutte le età che pregavano, che si riposavano all’ombra, che si rifocillavano lasciando qualche offerta ai piedi delle statue.

Passammo quindi per il fiume, che mi sembrò in realtà piuttosto torbido e grigiastro (mi balenò subito il ricordo di Phnom Pehn) e raggiungemmo il parco Keraweik (una delle tante zone verdi della città), con il grande laghetto, gli aironi, il palco a forma di drago, il bellissimo profilo degli alberi verdeggianti da cui spunta il gigantesco stupa della Shwedagon Paya, la Pagoda d’oro. Passeggiai un bel po’ osservando la natura nel completo silenzio. Quindi raggiungemmo un posto che mi lasciò senza parole: il complesso templare del Chauk Htat Kyi Buddha, il gigantesco Buddha disteso, imponente, lungo oltre 100 metri, dalle enormi piante dei piedi variamente decorate con simboli e scritte sacre. Notai intanto che moltissime persone mi guardavano: gruppi di giovani ragazze (forse studentesse), ragazzi vestiti alla moda, anziani che pregavano seduti sui soffici tappeti davanti alle statue. In più di un’occasione le persone mi chiesero di fare una foto insieme a loro…

Shwedagon Paya, selfie di ragazzi birmani (Yangon, Myanmar)

Shwedagon Paya, selfie di ragazzi birmani (Yangon, Myanmar)

Conviene visitare la Shwedagon Paya nel pomeriggio, quando il caldo si fa meno opprimente e il sole, un po’ basso, disegna delle bellissime zone di luce e di ombra e riflette i colori caldi dei tanti edifici dai tetti decorati, delle migliaia di statue lucide e di tutto lo stupa dorato. La pagoda è vasta, e si snoda intorno ad un gran cortile sopraelevato che si raggiunge da una delle quattro porte sorvegliate da alte statue di Chinthe, divinità dall’aspetto leonino. Al centro si erge uno stupa  di oltre 100 metri di altezza tutto circondato alla base da nicchie con statue, decorazioni, stupa più piccoli. Anche in questo luogo sublime notai moltissima gente: famiglie con tanti bambini piccoli, anziani, gruppi di ragazzi e ragazze giovanissimi vestiti in modo tradizionale che scattavano selfie divertiti. Forse il Myanmar si sta veramente aprendo al mondo e queste sono le nuove generazioni che già conoscono l’inglese e sanno cosa succede fuori dal loro paese… Verso il tramonto le persone cominciarono a lasciare il cortile, e fu allora che vidi decine di ragazzi disposti in file ordinate uno accanto all’altro, che spingevano delle scope per pulire tutto il piazzale sotto lo sguardo attendo di un capo squadra. Raggiunsi Wonnyang, lo ringraziai per la bella esperienza e concordai per l’indomani un lungo giro fino al Golden Rock e a Bago. Dopo aver cenato in un minuscolo ristorante vicino al mio albergo cominciarono di nuovo i malesseri: avevo caldo, tremavo un po’, il cuore batteva veloce, ero inquieto. Appena steso a letto mi addormentai. Poi arrivarono gli incubi e mi svegliai nel cuore della notte. Non avevo minimamente assorbito il fuso orario. Pieno di pensieri cupi raggiunsi il bagno per sciacquarmi il viso e fu lì che vidi un grandissimo scarafaggio che evidentemente era entrato dal buco sull’angolo tra il pavimento e il muro. Sparai un forte getto d’acqua della doccia e l’insetto sparì. Tornato a letto provai a riaddormentarmi. Controllai che sul comodino ci fosse ancora tutto: portafoglio, occhiali, orologio, documenti, medicine…

Medicine?? Capii tutto. Estrassi il foglietto dalla confezione di pillole… controindicazioni ed effetti indesiderati… meno di una persona su dieci disturbi del sonno, sogni strani, depressione…. meno di una persona su cento stati di ansia, palpitazioni… Il mio malessere era forse l’effetto negativo del farmaco antimalaria.

Links utili:

Myanmar Tourism Ministry – web site

 

(457 views)

Print Friendly, PDF & Email
Licenza Creative Commons

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *