Swakopmund e Twyfelfontein – viaggio in Namibia 5/6

Swakopmund è la più elegante città costiera della Namibia. Completamente differente da Luderitz, che si trova a qualche centinaio di chilometri più a sud (tra le due città vi è però il deserto del Namib) Swakopmund è un luogo decisamente più ospitale, anche se meno particolare, con molti alberghi, negozi e qualche tratto di spiaggia che, almeno nelle immediate vicinanze della riva, è balneabile. Non ci sono altre città della Namibia che, nell’architettura, ricordano così tanto la Germania: le abitazioni di villeggiatura in legno e muratura, gli edifici coloniali e i giardini molto curati ricordano molto una tipica località di turistica del mare del Nord.

edificio di Swakopmund (Namibia)

edificio di Swakopmund (Namibia)

Come a Luderitz anche questo tratto di costa è comunque caratterizzato dalla presenza di una natura molto selvaggia. Allontanandosi appena un po’ dalla baia relativamente tranquilla di Swakopmund ecco che le onde gelide dell’oceano tornano a flagellare impetuose le coste desolate. Appena a sud vi è il deserto del Namib e, a nord, oltrepassato Cape Cross  dove si riuniscono popolatissime colonie di otarie e di leoni marini, ha inizio la Skeleton Coast, la lunghissima zona costiera quasi disabitata da dove si possono osservare numerosi relitti di navi che nel corso dei secoli sono lì colate a picco a causa della furia del mare.

A Swakopmund dormimmo due notti presso un bed and breakfast proprio a ridosso della spiaggia. Il pomeriggio del nostro arrivo ci dedicammo alla visita della città, passeggiando per il centro fino al lungomare, ammirando le architetture coloniali e le eleganti abitazioni dei residenti. Il clima era molto rigido e il mare, appena fuori dalle piccole insenature un po’ riparate, era molto mosso. L’acqua era gelida, probabilmente intorno ai sette gradi (in piena estate non supera comunque i quindici gradi) e solo qualche temerario immergeva i piedi a ridosso del bagnasciuga. A tratti una leggera pioggia, mischiata agli spruzzi delle onde trasportate dal vento, cadeva sotto un cielo plumbeo.

onde atlantiche a Swakopmund (Namibia)

onde atlantiche a Swakopmund (Namibia)

Di sera cenammo in un bel ristorante sulla spiaggia, nei pressi di un piccolo molo su cui si infrangevano le onde schiumose del mare. Parcheggiammo l’auto nel posteggio del ristorante che era sorvegliato da un paio di ragazzi di colore, vestiti con un maglioncino qua e là bucherellato e che battevano letteralmente i denti al freddo della sera. Constatammo che anche a Swakopmund il divario di condizione sociale tra la popolazione bianca e quella di colore è abissale. La cena non fu affatto memorabile, soprattutto per me che ordinai (un po’ a caso) uno dei vari piatti a base di pesce combinato con altri ingredienti che per noi decisamente stridono. Del resto in Namibia (ed anche in Sud Africa, come ebbi modo di constatare in altre circostanze) il pesce a volte viene servito insieme alla carne o, come la pietanza che ordinai, immerso in una salsa a base di latticini.

fenicotteri a Walvis Bay (Namibia)

fenicotteri a Walvis Bay (Namibia)

Il mattino seguente il tempo era decisamente bello e decidemmo di fare una escursione a Wolvis Bay, ad una quarantina di chilometri a sud, dove passammo un po’ di tempo ad osservare gli stormi di fenicotteri sulle spiagge deserte e le imponenti dune delle saline. Poco distante dalla baia era in corso una partita di cricket tra due squadre di ragazzi di colore in impeccabile divisa bianca. Il pomeriggio lo dedicammo ad una veloce visita del serpentario e dell’acquario locale e quindi al riposo nei pressi della spiaggia di Swakopmund, dove cenammo in un altro ristorante, per fortuna meglio del giorno precedente. Andammo quindi a dormire presto in vista di un’altra lunga e impegnativa tappa su vari tipi di pista (salina, sabbiosa e di terra dura e battuta) che ci aspettava l’indomani: dovevamo guidare fino a Twyfelfontein, nel cuore della regione del Damaraland, passando per Cape Cross e quindi verso est, evitando così la pericolosa Skeleton Coast, completamente disabitata durante l’inverno australe e dove una semplice foratura poteva significare dover aspettare soccorsi per giorni.

otarie a Cape Cross (Namibia)

otarie a Cape Cross (Namibia)

Arrivammo a Cape Cross, dove si può osservare da pochi metri una colonia di migliaia di otarie. Appena scesi dall’auto fummo sopraffatti dall’odore nauseabondo di questi animali, sparpagliati lungo tutta la costa, delle loro deiezioni e di altro materiale organico in decomposizione. C’erano numerosi maschi, irrequieti e molto aggressivi, e femmine che badavano ai piccoli, i quali rischiavano continuamente di essere schiacciati appena un adulto si muoveva nei loro paraggi. Anche le acque, mosse e battute dal vento, erano un brulicare di otarie che si tuffavano a caccia di pesce o di altre prede, riemergendo dopo un po’. L’aria, già irrespirabile, era fredda e satura di umidità e di sale che proveniva dal mare. Tutto intorno una foschia densa, la pista salina di colore grigio e qualche uccello rapace solitario, rendevano il paesaggio plumbeo.

pista per il Damaraland (Namibia)

pista per il Damaraland (Namibia)

Ripresa la marcia, appena dopo pochi chilometri svoltato a est, la Namibia si ripresentò d’improvviso con i suoi colori più vividi: il cielo tornò blu acceso, senza nuvole, e la pista diventò di terra rossa battuta. Anche il clima divenne immediatamente caldo e asciutto. Raggiungemmo quindi Twyfelfontein, incastonata tra i monti del Damaraland, senza particolari problemi, ad eccezione di qualche tratto di pista molto sconnesso sul quale era necessario procedere con velocità inferiore ai venti chilometri orari, e di qualche gregge di capre in mezzo alla strada.

incisioni rupestri di Twyfelfontain (Namibia)

incisioni rupestri di Twyfelfontain (Namibia)

Lì visitammo il sito dove sono state ritrovate delle interessantissime incisioni rupestri, realizzate probabilmente oltre 6000 anni fa, ed alcune particolarità geologiche tra cui la Wave Rock (strana formazione rocciosa a forma di artiglio di leone), le Organ Pipes (colonne di basalto alte oltre 4 metri a forma di canna di organo) e la Burnt Mountain (una formazione rocciosa nera nel mezzo di una distesa di scorie vulcaniche). Per la prima volta, assistendo alla conversazione tra due guide di etnia damara che ci accompagnavano, ascoltammo la particolarità della lingua khoisan, caratterizzata da strani e per noi quasi irriproducibili schiocchi fatti con la lingua (i cosiddetti clic).

Pernottammo quindi in un bel lodge tra i monti e trascorremmo il resto della serata a ricontrollare l’itinerario dell’ultima tappa del nostro viaggio: dovevamo raggiungere il meraviglioso parco dell’Etosha.

Links utili:

Namibia Tourism Board (Government Agency)

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