Marzo 2012.
La piazza non mostra quasi più alcun segno del suo passato devastante. Il cielo è azzurro e limpidissimo nonostante ci si trovi proprio al centro di importanti arterie della capitale. Certo gran parte del merito lo ha l’efficiente sistema di trasporto urbano di superficie, la metropolitana sotterranea e la larghezza delle strade che permette alle auto di circolare con relativa facilità, senza ingorghi. Parte del merito lo ha anche il vento del nord che di frequente soffia teso sulla città, spazzando via il pulviscolo e l’umidità.
Si sta avvicinando la primavera. Di giorno e nelle prime ore della sera il clima è mite e le giornate si stanno allungando. Potsdamer Platz è completamente circondata da eleganti grattacieli ed edifici modernissimi. Sembra incredibile che venticinque anni fa questa fosse una delle zone in assoluto più desolate dell’intera Germania.
La storia di Potsdamer Platz è per certi versi strabiliante. Una storica piazza centrale, risalente alla fine del ‘600, che in epoca moderna divenne sede di importanti edifici governativi del Terzo Reich. E che, per questo motivo, venne completamente rasa al suolo dagli incessanti bombardamenti nelle fasi più drammatiche della Seconda Guerra Mondiale, quando Berlino (e l’intera Germania) cominciava a cadere a seguito dell’avanzata degli Alleati e dei Russi. Così il destino di questa piazza fu segnato dalla sua posizione, proprio lungo i confini dei territori reclamati da Stati Uniti, Gran Bretagna e Russia. Confini segnati sulla carta ma che nel 1961 divennero reali, e la piazza si trovò letteralmente tagliata in due dal muro.
Potsdamer Platz divenne così uno spiazzo fangoso tra due barriere di cemento armato e filo spinato, disabitato e spoglio, illuminato solo dalle lampade delle torrette di avvistamento dalle quali decine di cecchini puntavano i loro fucili. E, alla caduta del muro, nel 1989, da quello spiazzo fangoso si partì per ricostruire quella che per molti aspetti è oggi, a mio avviso, la piazza più significativa di Berlino.
Usciti dall’U-bahn ci si accorge subito di quanto imponente sia stata l’opera di ricostruzione degli anni ’90, commissionata ai più prestigiosi architetti del mondo, tra cui Piano e Jahn. I risultati dell’ambizioso progetto sono realmente notevoli e i segni del drammatico passato sono ora quasi invisibili, se si eccettua alcune porzioni del muro “occidentale”, dalle scritte multicolori, che sono state posate nei pressi di una delle uscite della metropolitana. Intorno notiamo una curiosa struttura composta da tubi che sbucano dal piano strada e corrono lungo una parte del perimetro della piazza.
L’alta torre arrotondata della Deutsche Bahn si affianca ad altri grattacieli dalla forma più spigolosa. Poco dopo notiamo l’imponente copertura a forma di ombrello del Sony Center, che si confonde con infiniti spicchi di cielo azzurrissimo. Sotto la copertura numerose persone sostano sul bordo di una moderna fontana, mentre il sole sta quasi tramontando.
La nostra destinazione si trova poco lontano dalla piazza. Come in molte altre zone di Berlino, basti pensare all’avveniristica cupola in vetro e metallo che sormonta il palazzo neoclassico del Parlamento, anche qui si è riusciti a fondere magistralmente il classico con il contemporaneo. E la Philharmonie Hall, sala da concerti dalla moderna forma pentagonale dove suonano musicisti di fama mondiale, ne è un esempio. Raggiungiamo l’elegante auditorium in pochi minuti. La grande sala in legno è sormontata da quelle che sembrano un po’ delle vele, appositamente progettate per consentire un’acustica eccezionale. Ci sediamo sui posti un po’ defilati, dai quali si può vedere molto bene tutta l’orchestra, i cui componenti cominciano a sistemarsi al loro posto un po’ alla volta.
La semplice accordatura, dissonante, degli archi è sufficiente a riempire di calore tutta la sala. Poi, con una certa solennità, arriva il direttore, si abbassano le luci e cala un silenzio assoluto fino alla prime note di Appalachian Springs di Aaron Copland. Si percepisce distintamente ogni nota, senza alcuna eco, ed anche tutte le sfumature del suono dei timpani che scuotono, rimbombando, alcune battute dell’esecuzione e accompagnano, appena percepibili, altre. Il concerto dura un paio d’ore che letteralmente volano via velocissime con la Suite Hebraique di Ernest Bloch, fino alle ultime note della sinfonia n.8 di Dvorak.
Uscendo troviamo la piazza avvolta in una atmosfera quasi magica. La copertura del Sony Center è ora completamente illuminata da una luce che cambia lentamente, passando dall’azzurro al violetto, e la vicina Deutsche Bahn Tower sembra un alveare con migliaia di cellette luminose che risaltano nettamente sul cielo quasi nero. Sembrano magnifiche anche le centinaia di auto che, ordinate, sfilano per le grandi arterie illuminando con i loro fanali tutto intorno.
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