Il Parco Etosha è un luogo straordinario per osservare gli animali dell’Africa. E’ un parco sterminato, oltre 20.000 chilometri quadrati, paragonabile per estensione al Parco Tsavo in Kenya. La parte centrale è caratterizzata da una vasta depressione salina dalle sfumature bianche e verdastre, l’Etosha Pan, e tutto intorno vi sono grandi foreste e praterie che accolgono una fauna eccezionale per quantità e diversità. L’Etosha è molto divertente da visitare. Le decine di piste che si diramano dalla strada principale, conducono a infiniti punti panoramici su spiazzi, pozze naturali e radure dove si riuniscono centinaia di animali di tutte le specie e, anche senza guide autorizzate, si può vagare con la propria autovettura per ore trovando situazioni sempre nuove da osservare incantati.
Partimmo di buon’ora da Twyfelfontein per raggiungere la città di Outjo, a est, e quindi svoltare verso nord lungo la strada che ci avrebbe condotto all’Andersson Gate, uno degli ingressi del parco. Sulla carta non era una tappa molto impegnativa, anche se abbastanza lunga, ma ci dovemmo ricredere poco dopo la partenza, appena imboccata la prima pista: di nuovo lunghissimi tratti di terreno duro e ondulato che impedivano di procedere a oltre i venti chilometri orari.
Ci volle un bel po’ per raggiungere la Petrified Forest, dove era in programma una sosta per visitare l’area in cui si trovano imponenti tronchi pietrificati, lunghi fino a 34 metri e con circonferenza fino a 6 metri, risalenti ad oltre 260 milioni di anni fa. Era già mattina inoltrata e faceva molto caldo. La guida che ci accompagnò era una ragazza molto carina e simpatica, forse meno che ventenne, che si diede un gran da fare per illustrare tutto quello che sapeva su quegli strani tronchi provenienti dalla preistoria. Constatammo, una volta di più, come fosse dura la vita per moltissime persone appena si lasciano i paesi industrializzati. La ragazza era infatti vestita con abiti sbrindellati e sporchissimi, con scarpe da ginnastica completamente sfondate, aveva i capelli letteralmente carichi di polvere e lasciava dietro di se un intenso odore di sudore. Come le altre guide di quel luogo non guadagnava altro che le mance lasciate dai pochi turisti.
Durante la breve visita, da uno dei tronchi adagiati per terra, sbucò un serpente che la nostra accompagnatrice ci indicò essere molto velenoso. Ci imbattemmo infine in un esemplare di welwitschia, la straordinaria pianta che cresce solo in qualche parte della Namibia, in zone quasi senza precipitazioni, che si stima possa vivere per oltre 2000 anni.
Nella zona della Petrified Forest si manifestò, più che altrove, il volto povero della Namibia. Questa valutazione fu confermata quando arrivammo alla grigia e fatiscente cittadina di Khorixas, appena 40 chilometri a est, capitale amministrativa del Damaraland. Fu lì che, per la prima volta nel corso del nostro viaggio, trovammo un clima tutt’altro che ospitale da parte della popolazione residente (visibilmente molto povera a giudicare dal vestiario) la quale, a tratti, sembrò perfino ostile nei nostri confronti.
A Khorixas, mentre stavo facendo il pieno di carburante, mia moglie Martina tentò di fare degli acquisti in un piccolo negozio di alimentari nei paraggi: ma non ci riuscì perché il proprietario, discutendo animatamente in chissà che lingua, si rifiutò di servirla. L’atmosfera si fece ancora più pesante quando un gruppetto di cinque o sei persone si fermò nei pressi della nostra auto, guardandoci con fare equivoco. Decidemmo allora di accelerare le operazioni di rifornimento e di partire immediatamente.
Il resto della tappa, fino al cancello di ingresso, fu invece molto tranquillo. Appena dopo Khorixas le piste migliorarono molto e, dopo Outjo, alcuni tratti di strada erano perfino asfaltati. Raggiungemmo il parco, prima del previsto, verso le tre del pomeriggio.
All’Etosha erano presenti unicamente tre lodge statali, a circa settanta chilometri uno dall’altro, relativamente economici e con bungalow molto spartani ma accoglienti e puliti. Trascorremmo una notte in ciascun lodge e questa fu una scelta che si rivelò molto azzeccata perché i vari accampamenti erano molto diversi tra loro. La prima notte ci fermammo all’Okakuejo, nella parte più occidentale, cha aveva una pozza artificiale molto grande e ben illuminata dove, appena dopo il tramonto, si riunivano decine di pachidermi, rinoceronti e infinite specie di erbivori. La seconda notte dormimmo invece nel piccolo e accogliente Halali, che aveva una bella pozza un po’ al buio ma in cui, incredibilmente, non vedemmo alcun animale nel corso della serata passata in osservazione.
L’ultima notte la passammo infine al Fort Namutoni, un lodge ricavato da un ex avamposto militare con bastioni di colore bianco. Fu lì che, nel cuore della notte, scorgemmo inaspettatamente un raro esemplare di leopardo (quasi invisibile durante il giorno a causa del carattere molto schivo e per la sua caratteristica di passare gran parte del tempo sugli alberi) mentre lentamente si avvicinava alla pozza per abbeverarsi.
Il tempo all’Etosha passò velocemente. Trascorrevamo le giornate guidando per le piste fino ai punti di osservazione, dove vi erano sempre decine e decine di elefanti, giraffe, zebre e molte altre specie di erbivori. Come in altri casi, molto più raro fu scorgere qualche felino predatore: incontrammo solo piccoli branchi di leoni che osservammo da lontano mentre si riposavano pigri sotto il sole cocente del pomeriggio.
Nei ristoranti dei lodge si cenava molto bene. Notammo subito che, durante il giorno, i cancelli di ingresso dei vari accampamenti erano tenuti aperti e così numerosi sciacalli potevano entrare liberamente.
La sera questi animali scorrazzavano qua è là cercando qualcosa da mangiare e non era raro trovarsene uno nella veranda esterna proprio all’ingresso del bungalow. La cosa non era così piacevole soprattutto per il fatto che gli sciacalli, già aggressivi se in branco, sono i principali veicoli della rabbia, abbastanza diffusa in tutto il parco al tempo del nostro viaggio. Tra gli “intrusi” dei lodge anche piccoli e irrequieti facoceri che scavavano in continuazione tra le aree verdi, pronti a mettersi subito sulla difensiva al nostro passaggio.
Dopo il terzo giorno lasciammo il Parco Etosha per rientrare in due tappe verso Windhoek, dove il nostro viaggio si sarebbe concluso.
Trascorremmo l’ultimo pomeriggio nei pressi del Monte Etjo, più o meno a metà strada tra l’Etosha e la capitale. Lì partecipammo ad un’altra bella escursione nella vasta riserva privata dove incontrammo, tra l’altro, un gruppetto di tre rinoceronti, che osservammo a un paio di metri dal nostro veicolo, e numerosi termitai alti quasi come una persona. La serata si concluse con un memorabile barbecue, che cominciò con uno straordinario tramonto e finì a notte fonda, sotto le stelle dei monti namibiani, in compagnia di ospiti simpatici ed inattesi.
Un gruppo di grandi istrici che, pungendosi uno con l’altro, iniziarono delle rumorose scaramucce che andarono avanti per molto tempo.
Links utili:
Namibia Tourism Board (Government Agency)
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